Un posto dove stare

ESTIA 

PLAZA DORREGO

Dimmi che non stai per andar via così posso illudermi di te,
dimmi che non stai per andar via così posso cacciarti via io.

Non può proteggerti un tatuaggio anche fosse un angioletto sul trapezio,
cammini nel tuo pensiero triste, donna che mi hai salvato
donna che mi hai rovinato, non consolarti con del vino freddo, andiamo,
mettiamo pure che sia colpa mia, che differenza farebbe?
Pensieri inutili a cui badare e aforismi da realizzare
mi sono successe cose che non ho sognato mentre dormivo tranquillo.

Mi son risvegliato su una panchina di pietra in piazza Dorrego,
avevo presagi di dolore come nella sala d’attesa di un dentista,
il tango sparava cartucce a salve e ruotava i suoi polpacci forti:
mi piaceva quello che diceva perché a parlare ero soltanto io,
in un albergo squallido con le camere comunicanti e il bagno sporco.
Dovremmo tornare ad essere amanti, almeno faremmo l’amore in maniera decente.

Ci furono tempi eroici ma li dimenticammo presto.
Mi innamoro spesso delle ballerine, della quotidianità e delle cameriere,
tu dei figli dei capostazione e di frasi sfatte che ingarbugliano la strada,
eccoti due accordi pour épater le bourgeois come cartoline dalla Svizzera neutrale
e tasti neri, misteriosi, sensuali come cashmere sulla tua pelle nuda,
ne ignoro l’appartenenza ma suonano discretamente,
sì, dicono di convivere abbastanza bene.

Sono convinto che, se avessimo costruito più teatri al posto delle chiese,
capiremmo comunque poco ma sarebbe tutto meno oscuro
in questa nebbia che amplifica le voci, in questa terra di grida atroci,
in questa canzone che racconta di niente, di un militare fucilato e della pampa,
dei tuoi occhi color della notte, della domenica sera che ci sorprende immobili,
ci toccherà guardare un po’ di televisione o crescere male dei bambini.
Attendo invano una morale in panciolle sul divano, una fine,
ma continuo a spernacchiare invece di capire.

Dimmi che non stai per andar via così posso illudermi di te,
dimmi che non stai per andar via così posso cacciarti via io.

LA LEGGENDA DEL TRINCHE

Rosario non è una preghiera,
una ghirlanda di rose in pegno,
non è neppure il tuo accento straniero
tra scarpe lucide che graffiano il legno,
“Siéntate Tanghera, che non son degno”

E’ verde bruciato tra polvere e sabbia,
urla dal campo e il fantasma del “Che” che sorveglia
che dall’Atlético Central Córdoba
non arrivi lo slavo a Buenos Aires.
“Pesca Carlovich!”,
su quel fiume di fernet: Rio Paraná.

“Togli quel cane rabbioso del 5 che ci umilia con i suoi tunnel,
siamo l’Albiceleste e ci aspetta el mundial”.
“Togli quel cane rabbioso del 5 che nessuno conosce,
El Trinche El Trinche, él nos matará”.
Così pregava il mister il suo collega di Rosario
e la gente gridava: “El Trinche, El Trinche, El Trinche debe jugar!”.
Il sole faticava, in quel tramonto argentino
e il Coloso tremava: “El Trinche, El Trinche, El Trinche debe jugar!”.

Ho piedi di marmo affondati nel fango,
nato terzino con poco coraggio,
non mi è rimasta nemmeno la corsa.
Ayudame Tomás, ti sto cercando: “Che faccio?”.
Una leggenda non s’incontra,
si rapina da un vecchio che racconta.

CONIGLI

Dimmi di quel posto, di quel posto dove vivremo del grasso della terra,
dei ciliegi e del piccolo mulino, del gallo che ci risveglierà
dal silenzio della notte nel fresco del mattino, dimmi come sarà bello,
e la panna così spessa sopra il latte da dovercela tagliare col coltello
e le noci, le albicocche, l’alfalfa per i miei conigli.

Dimmi di quel posto, di quel posto dove vivremo del sale della terra,
del vecchio Candy che ci aiuterà coi conti, la fine di questi giorni incerti,
il vagare strambo delle galline che si mangiano un po’ tutto nel cortile,
la nenia dei colombi dopo pranzo dalla penombra degli scuri semichiusi,
dimmi ancora che andremo presto, ad accudire i miei conigli.

Stanne certo Lennie guarda l’altra sponda, ti apparirà davanti agli occhi
quella terra così grassa e generosa da doverci lavorare solo il giusto,
sarà nostra, nessuno ci potrà cacciare, di guardia ci resteranno i cani
e se a qualcuno salta il grillo di passare, gli diremo: “Resta fino a domani”,
davanti al fuoco con i gatti che infastidiscono i tuoi conigli.

I cavoli nell’orto e in cucina, ti insegnerò a conservare i pomodori,
la stufa di ferro sempre accesa d’inverno, insieme aspetteremo i salmoni
risalire lungo il fiume e le uova da rivendere al mercato per un po’ di whisky,
per il circo qualche soldo nelle tasche ed un tetto sulla testa quando piove,
non ci correranno dietro i guai, accarezzerai i tuoi…

NE HO VISTI TROPPI COME VOI

NETTUNO

Credo che non abbiamo capito
che quelle bestie sui barconi
non sono i nostri simili.
Ma siamo noi, sono i nostri padri,
son le nostre madri, i nostri figli,
i nostri nonni, i nostri avi.
La nostra unica e ultima speranza
per restare umani
e non precipitare in un buco.

Credo che il grande malinteso
sia che il Cristo sulla croce
fosse figlio di uno molto influente.
E che tanti restino convinti
che per pararsi il culo
basti puntare sul cavallo vincente.

Forse sarebbe stato meglio
fosse figlio di nessuno
e solo all’ultimo respiro Nettuno,
o a caso, qualche altro dio
avesse aperto il cielo e detto: “Io ti adotto”

Come tutti quelli che:
maltratterete, picchierete, bastonerete, torturerete,
lascerete nudi e indifesi,
senza pane, senza casa,
in mezzo al mare, al deserto,
sotto la pioggia , sotto terra, nella tempesta,
tra le macerie di una guerra,
ammalati, sopraffatti, incatenati, imprigionati,
cancellati dai ricordi della storia
e poi spariti per sempre
dalla vostra vista,
dalla vostra vita… dalla vostra bella vita.

LA CASA DI BORGES

Non esco mai di casa perché è grande come il mondo
e il mondo fa paura come cento mani aperte,
scappano i bambini tra le fiaccole del tempio,
pregano le pecore rifugiandosi nel mare.
Mia madre mi diceva: “Sei unico, non strano”
mio padre mi temeva, tremava alla mia vista,
ora gioco a rimpiattino con l’ombra di me stesso
finché il sole resta in cielo Asterione si nasconde.

Se un altro me venisse a trovarmi sarei più lieto.

Impazienza generosa che mi fece analfabeta
rese giorni e notti così lunghi e tutti uguali,
infiniti corridoi di freddo marmo bianco
dove corre la vertigine di questo uomo solo.
Non sono un prigioniero, vado incontro agli invitati
uno dopo l’altro cadono nel sonno,
mi aiutano col corpo a distinguere le stanze
nell’intricato labirinto cerco anch’io il mio giaciglio.

Se verrai a redimermi, colpisci forte ti sto aspettando.

Brillò il sole del mattino sulla spada di bronzo.
Non restava più traccia di sangue.
Sciolse il filo alla cintura e si fece abbracciare,
Teseo con espressione perplessa:
“Lo crederesti Arianna, il Minotauro non s’è quasi difeso”.

STARI MOST

Torneremo a tuffarci di sotto per i turisti
e a baciarci di notte.
Torneremo a tuffarci per qualche soldo
e ad amarci di nascosto,
quando sarà buio, quando sarà buio
a guidarci saranno le lucciole.

Torneremo a tuffarci di sotto nella Neretva
e ad asciugarci sui sassi.
Torneremo a tuffarci nel blu dell’acqua
e a giocar con i gatti,
quando sarà il sole, quando sarà il sole
a ripararci sarà l’ombra del ponte.

Torneremo a tuffarci di sotto per i turisti
e a baciarci di notte.
Torneremo a tuffarci nel blu dell’acqua
e a giocar con i gatti,
quando sarà la pioggia, quando sarà la pioggia
a tuffarsi sarà il riflesso del ponte,
grigio e bianco che sembra di cartapesta.

UOVA AL TEGAMINO | GIOVEDI’

Cosa ci rende uguali, cosa ci fa così male?

Mia nonna mi raccontava delle uova al tegamino
e di un soldato tedesco con la pistola in mano.
Le avrebbe cucinate meglio se non puntava alla tempia,
lui proprio non capiva aveva fame e fretta di attraversare il grande fiume.
Pianse per tre giorni quando lo vide annegare,
insieme a tanti altri di vent’anni come lei.
Perché la guerra è merda anche per noi stronzi.
Cosa ci rende diversi, perché ci facciamo del male?

Mio padre tiene talmente tante cose che alla fine non trova mai niente,
mio nonno le sapeva aggiustare.
Il nonno le sapeva aggiustare.
Io sono una mongolfiera, butto via, butto via che alla fine non trovo mai niente,
che alla fine ho perso pure il giovedì.

OGNI GIORNO

Ti amo ogni giorno di meno, ti amo ogni giorno di meno.
Il tempo non è nostro amico e ti amo ogni giorno di meno,
sono schiavo delle passioni, della carne e delle illusioni,
mi spaventa annullarsi l’un l’altro e il ritmo del quotidiano.
Ti amo ogni giorno di meno, ti amo ogni giorno di meno.

Ho trovato una casa in campagna, quasi a posto con orto e giardino,
costa poco sembra un vero affare, si potrebbe anche fare un…

Ti amo ogni giorno di meno, ti amo ogni giorno di meno,
ma non lasciarmi mia cara amica nella solitudine di questo mondo,
ho bisogno di parole e dolcezza, di un abbraccio che lascia fuggire,
sapere che ci sei nonostante la certezza dei nostri silenzi.
Ti amo ogni giorno di meno, perché ho capito che in fondo…

L’amore non conta niente, l’amore non serve a un cazzo,
soltanto per brutte canzoni o consolare poeti falliti.

FELPONICA

In mezzo alla campagna di una pianura tutta uguale
se non ci sei abituato ti viene il mal di mare,
una nebbia così fitta che sembra di esser morto,
cerchi di scappare, ti ritrovi perso nello stesso posto.

Solo il grande fiume a spezzare l’orizzonte:
argini e golene, a singhiozzo qualche ponte,
scorre innocuo e innocente con gioia cubana
ma se ci nuoti dentro, che gran figlio di puttana!

Succede quasi niente, a parte alluvioni e terremoti,
inganna il tempo ad osservare cugini zingari e ostrogoti
che stan sull’altra sponda e quando le nuvole non sono offese,
sogna le Dolomiti e l’Appennino Modenese.

Felonica che ghiaccia, ride, suda e itterica sbadiglia
di acqua e terra incuneate tra il Veneto e l’Emilia,
mischia il pane e la cipolla, scalda con il brodo,
volta le spalle da gran signora, Matilde, per mostrargli il culo…
Ah Matilde!

A pensarci bene, non si sta poi male:
pace ed un silenzio che si può toccare
tra la guazza del mattino e i campi che s’incendiano a ponente,
sta sospesa in purgatorio fatalista indifferente.

C’è più vita al camposanto che per le strade del paese,
anche i galantuomini di pietra stanno chiusi dentro in casa,
il West di via Garibaldi si divide la poca gente
che col vino passa i giorni, gli anni, fino a diventare sempre.