Non canto per cantare

IL CANTICO

Combattiamo tutti quanti nella nostra legione amica
solo per essere diversi o per dare un senso a questa vita
zaino in spalla e sigarette qualche abbraccio e andiamo al mare
un pensiero rima l’altro e poi il vuoto siderale
mi dicono che devo sempre rendere conto di qualcosa
a chi ha dormito nel mio letto e chi vuol essere la mia sposa
la terra si che è un posto strano e che non da mai i frutti sperati
e siamo tutti disperati sulla soglia dei trent’anni

e vorrei avere un dio che mi dica finalmente chi sono io
vorrei un dio dell’universo mi dica dov’è finito il resto
vorrei un dio dei nostri nonni che mi racconti cosa mi sono perso

Stefania dorme poco vien da lontano e conosce il mare
la tiene sveglia la sua follia di una bellezza un po’ criminale
Un fascista morto in terra non concima alcuna pietà
ma soltanto i fiori rossi che non vedrà mai dall’aldilà
Per far breccia nel suo cuore che fra i tanti è il più distratto
ho affittato i miei difetti e sfidato il mio coraggio
che non è molto ma è tenace e fa di me quel che io sono
un clandestino che si inginocchia e non conosce mai il perdono

e vorrei avere un dio che mi dica finalmente chi sono io
vorrei un dio dell’universo, mi dica dov’è che mi sono perso
vorrei il dio degl’immigrati che maledica questo inverno

abbracciati anche nel pensiero laddove il sonno gela gli ideali
e nel silenzio Dylan canta di quando gli uomini erano tutti uguali
viene la notte che scaglia i venti e libera il mondo dai suoi flagelli
canteremo al buio amore morte al re e ai suoi fratelli
che sono serpi criminali che cacciano i topi a Pomigliano
combatteremo ogni sistema al caldo seduti sul il divano
e questi miei pensieri non vogliono essere la vostra storia
un assetato muore sempre se si disseta con la sua gloria

e vorrei avere un dio che mi dica finalmente chi sono io
vorrei un dio dell’universo, mi dica dov’è che mi sono perso
vorrei il dio dei disoccupati che maledica chi sta meglio

da bambino ho imparato molto e ho condiviso i miei pochi averi
e ora che sono un po’ cresciuto ho coltivato due desideri
per non vedervi fra cent’anni vorrei essere immortale
e non essere nei vostri panni quando mi ubriacherò al vostro funerale

e vorrei avere un dio che mi dica finalmente chi sono io
vorrei un dio dell’universo, mi dica dov’è che mi sono perso
vorrei un dio criminale che mi dica la via per l’inferno

MARIPOSA

(Liberamente ispirata a “El Arado” di Victor Jara)

Forte stringe la mano
che affonda l’aratro nel suolo
per anni ho vissuto col grano
e siamo diventati un tutt’uno

E vola Mariposa che il cielo è la tua terra in un solco tracciato dal sudore
e riposa le tue ali rosso sangue tra i petali di un fiore
e ora canta con i grilli neri come la mia pelle che brucia e brucia sotto al sole
per vivere ogni giorno la tua vita ti dimentichi il dolore

Forte stringe la mano
che affonda la speranza nel suolo
per anni ho vissuto col grano
e siamo diventati un tutt’uno

E ora prego Mariposa che la sorte abbia pietà e che la notte venga vestita di una stella
per dar pace a questo cuore fatto di sangue, di cielo e di terra
e ora ascolta Mariposa il canto della colomba che vuole, vuol volare e volerà!
Nel mio pugno la speranza che tutto può cambiare e cambierà!

E ora vola Mariposa che il cielo è la tua terra in un solco tracciato dal sudore
e riposa le tue ali rosso sangue tra i petali di un fiore
e ora ascolta Mariposa il canto della colomba che vuole, vuol volare e volerà!
nel mio pugno la speranza che tutto può cambiare…

11 SETTEMBRE ’73

Attraverso i deserti del salnitro e le miniere sottomarine di carbone
lungo le alture terribili dove nasce il rame con lavoro inumano
radio Magallanes diffondeva al Sudamerica e oltre l’oceano l’esperanza che finiva
tra le Ande e i sentieri dei Mapuche il metallo tranquillo della sua voce

C’era il latte e la scuola per i figli, terre incolte distribuite ai campesinos
nel ’70 tutti andarono a votare per il sogno di riprendersi un paese
quel medico non era un militare, come una tigre combatteva col pensiero
e una nuova rivoluzione democratica, la più pericolosa per l’imperialista straniero

Così che all’alba dell’11 settembre truppe corazzate contro la Moneda
bombardarono la loro stessa gente ed il mondo ne rimase indifferente
il presidente Allende non usò il fucile puntò i suoi occhi neri contro i generali
codardi e felloni con lo sguardo assente lo suicidarono con l’AK47

Mi spararono a un ginocchio e mi sbatterono la testa sull’asfalto lurido della strada
finché non persi conoscenza e mi risvegliai all’estadio del Cile di Santiago
e là che sentimmo per l’ultima volta il concerto della morte contadina
le urla strazianti di Viktor Jara mentre gli spezzavano le dita una a una

E poi torture, sevizie e morti, sbudellati giù dagli aeroplani
collegavano fili elettrici ai genitali e stupravano le donne con i cani
si congratularono burocrati americani appagati dal lavoro ben fatto
e per ultimo zittirono Neruda malato e stanco ma nell’animo ancora intatto

Ora esuli, stranieri dove viviamo, nati in una terra che ormai non conosciamo
potranno tradire e calpestare quei mille giorni, non cancelleranno mai in nostri ricordi
di quel volo d’Icaro dritto contro il sole ci scalderanno per sempre le sue parole
la loro eco non ci farà sentire soli, viva il popolo, viva il Cile, viva i lavoratori!

CALIFORNIA 1849

Stella stellina, la notte si allontana
è quasi mattina, rimanimi vicina
non farti coprire dal sole che pian piano ci consuma
con il caldo dell’una se ne andrà il tuo buonumore

Un oasi di sale senza un Shoshoni da sparare
un ombra per dormire o un dio da bestemmiare
quello lo lasciammo con le vacche a Furnace Creek
ancora prima di arrivare sull’altopiano del Mojave

Maledetta sia la volta che cercai
la California per sentieri più veloci
maledetta sia la fonte dei miei guai
addio valle della morte

Stella stellina, la notte è ormai lontana
Dalle Funeral Mountains ti acceca l’arenaria
La vecchia Mary ha recitato la sua ultima giaculatoria
e di sicuro non vedrà il mare della California

Incastrato tra calanchi della vecchia Spanish Trail
intono i latrati del coyote con i lamenti miei
quanto rimpiango il letto freddo del bordello di Salt lake
e la coperta gelata della Sierra Innevata

Maledetta sia la volta che cercai
l’oro e il mare per sentieri più veloci
maledetta sia la fonte dei miei guai
addio valle della morte

Maledetti siano i carri con i buoi
maledetta questa terra e la sua sorte
maledetta acqua, maledetti noi
addio valle della morte

TENDA ROSSA

Comandante non ci lasci soli
che tengo una casa e a casa ho un amore
un amore e due figli da mandare a scuola

Son sicuro che in mezzo alla tempesta
ho visto i suoi occhi, i suoi occhi e la gonna
e tra la gonna i bambini già vestiti a festa

E con la neve in cortile
e sul grammofono un vinile
il sale sparso per le scale
mi aspetteranno per la notte di natale

Comandante qui il giorno è senza notte,
è una luce senza tregua, che brucia le mani
gli occhi e le mani sotto questa tenda rossa

Da Milano sopra un oceano di baci
ora venti ore di cammino per fare pochi metri
mangiati dal vento che spinge indietro i ghiacci

e con la neve tutt’attorno
e sempre il sole a cancellarti il sonno
la radio frigge una canzone
noi guitti di questa grande spedizione

Comandante ci lasci qui da soli,
ci lasci un po’ dormire e sognare un amore
un amore e due figli da mandare a scuola

Non può essere il dodici di luglio
che qui attorno non ci cresce neppure una rosa
una giglio o una rosa da regalare a mia moglie

E con la radio ormai in panne
e le speranze quasi nulle
anche la morte sembra un lusso
ecco all’orizzonte il Krasin, rompighiaccio russo

L’ISOLA INFELICE

Arianna sedeva in silenzio sulla sua collina più bassa
guardava quel filo di pietre che porta verso l’acqua salata
dall’acqua era arrivata, da quell’acqua si sentiva tradita
e il suo rivoluzionario era una rete da pesca

Due tavoli distanti noi, mettevamo in scena un amore
quando tornai a guardarla, lei era già scesa al fiume
quando provai a pensarla aveva ormai novant’anni
s’invecchia presto ad annegare i sassi

Riportami alla mia isola infelice
quando questa pianura di nebbia e di sale avrà cambiato colore
e parlami di cosa vuol dire “felice”
quando tutti i tuoi fiori si saranno seccati
a anche questo potrai chiamarlo amore

Avrebbe passato i suoi ultimi giorni assieme ad un pastore cieco
aveva una casa calda e qell’inverno era insolitamente freddo
quell’inverno pensava, era così inutilmente lungo
e il suo cane lo chiamava Ponzio Pilato

Riportami alla mia isola infelice
quando il tuo labirinto di sogno e zagara avrà cambiato il suo nome
e parlami di quando eri felice
quando tutti i tuoi fiori non erano ancora sbocciati
a anche questo lo chiamavi amore

DOVE SEI E DOVE VAI

Dove sei e dove vai
con chi vivi e cosa fai
sei ancora così magra e vestita dei tuoi guai
se ripassi di qua
suona pure se ti va
ho un cappotto tutto nuovo, vorrei vedere se ti sta

Ti ho visto che correvi
mi è sembrato fosse ieri
con i tuoi capelli corti e una sporta di pensieri
che peccato perché
non potevi esser te
non vivi più in Carlo Mayr 87 interno 3

Ora fa Freddo qua a Ferrara
c’è un cielo grigio e poco ancora
il tuo balcone nero, si affaccia sempre sulla strada
ma è più triste di allora
lo dice anche la signora
da quando non esci più a salutarmi col pigiama

Devo andare c’è chi mi aspetta
il tempo passa troppo in fretta
come quando molleggiando finivi nervosa una sigaretta
al diavolo sto qua
qualcuno ci sarà
provo a suonare ma sono tutti andati all’università

Che bei tempi erano quelli
non eran bianchi i miei capelli
sopra il tuo nome sul citofono c’era il geometra Zambelli
e mentre preparavi il sugo
io suonavo e tu col muso
mi dicevi: “Dai fastidio, sei troppo uguale a Bugo!”

Ora Dove sei e dove vai
con chi vivi e cosa fai
speravo di incrociarti per parlarti dei miei guai
se ripassi chissà
suona pure se ti va
ho un cappotto tutto nuovo, t’aspetto qua

EROE BORGHESE

Santo subito o criminale
mai eroe prima di morire
ammazzato o suicidato
e comunque sia: “te la sei andata a cercare”

La televisione trasmetteva l’incontro dell’anno tra un peso massimo e una piuma
l’arbitro, bel esemplare di struzzo reale, aveva un collo fuori misura
la piuma era un brav’uomo ma a qualcuno non piaceva, perché non risparmiava un colpo quando combatteva
“Che ci vorrà mai a liquidare una banca senza per forza dover rompere i coglioni”
che in un attimo sei negli anni ottanta e ce ne andremo tutti a Milano a bere, senza preoccupazioni

Dalla tribuna si sparse il panico, gridarono: “Aiuto, al lupo, o peggio al comunista!”
Giorgio non capiva, lui cattolico, in nostalgia di monarchia e mai stato di sinistra
la cariatide democristiana con la testa sotto terra disse: “sbrigatevela voi questa maledetta guerra”
“e che ci vorrà mai a liquidare una banca senza per forza dover rompere i coglioni”
che in un attimo sei negli anni ottanta e ce ne andremo tutti a Milano a bere, anche senza di te Ambrosoli

Caro eroe borghese di città o tu figlio di mafioso chiacchierone di paese,
ultimo degli sbirri, giornalisti con la barba, generali arrivisti e magistrati coi baffi da comunisti
maggioranza silenziosa che copre morti poco misteriose
donne coraggiose sciolte dall’amore
State zitti, non guardate e non toccate imparate a stare a posto e sopratutto non pensate
che ci vorrà mai a fare questa Italia, senza per forza dover rompere i coglioni
che chi sta fermo per forza non si sbaglia e ce ne staremo comodi a Roma a guardarvi morire soli

MIA MADRE E MIO PADRE

Il contorno della sera allungava le ombre
sul suo collo scivolava il freddo della notte
il tempo passava, ma quel giorno non finiva
sarebbe durato almeno trent’anni
lei sembrava ancora più bella
ancora più donna dei suoi sedici anni
da lui uscì un rantolo di piacere
un piccolo peccato che non seppe trattenere

Dio che vede tutto fece finta di niente
uscì nel cortile e chiuse la porta
fin dal principio ha lasciato a noi
l’incombenza terrena di doverci amare
di poterci amare fino a sfiorarci
fino a penetrare la carne dell’altro
ma anche chi è perfetto a volte è curioso
e quella volta stette fuori ad origliare

Mio padre sfinito si mise a sognare
mia madre si alzò e rimase a pensare
non lo vedeva vecchio mentre dormiva
era bello, quasi un bimbo, un angelo terreno
quella volta io non li ho potuti abbracciare
ho vissuto più tardi il loro amore
ma è così che mi piace poterli immaginare
mio padre Giuseppe e mia madre Maria

GIULIA

Io ho giurato il falso e non ho più paura
di correre nel bosco ad inseguire in mezzo al buio la mia primavera
a rincorrere in mezzo ai lupi la mia ultima cena.
Giulia è una ragazza strana che si distingue dalle masse
veste rosse sciarpe al collo e poi ti fissa coi suoi occhi color diamante
e poi mi dice facciamo l’amore ma stammi distante.
Tu mi dicevi sempre ora è tempo di partire
cavalchiamo la millecento e andiamo fino in Portogallo a far la nostra rivoluzione
o piu semplicemente arriviamo in tempo per fare colazione.
Una piccola ape operaia che ha avuto il genio una mattina
di bere un bicchiere di piombo per ammazzare le sue dieci figlie e la sua regina
per avvelenare con il suo miele l’ape regina.
Stasera faremo festa canteremo fino all’alba
verrà Gesù a portar la droga quella che lui chiama socialismo proletario
ma lui si sa è sempre stato un cane solitario
ma lui si sa è sempre stato figlio di un operaio